Un uomo in bicicletta, una pedalata dopo l’altra, lente, come passi che si faticano a fare. Si ferma davanti alla poltiglia di cemento, ormai monumento della sua Cavezzo. Tira fuori il suo cellulare. Inquadra i mattoni in frantumi e i pilastri sgretolati. Piange, gli trema la mano. Alla fine scatta. Immortala ciò che non dimenticherà mai. Ha bisogno di ferirsi ancora, di vedere più volte come il tutto diventa niente in una giornata. Poi si fa risucchiare nuovamente dal silenzio spettrale di una città che oggi è un grande set allestito per i giornalisti, ma non può offrire che serrande chiuse, finestre tappate, case sventrate. Come tante vite.
Vale
Cavezzo (MO) – Maggio 2012